martedì 4 marzo 2014

[come può uno scoglio]

Vorrei parlare di politica, di filosofia, di religione, della vita, dell'universo e tutto quanto. Vorrei parlare di questo mondo che mi piace sempre meno ogni giorno che passa, dove sembra che sia tutto merda, dell' indifferenza, del cinismo, dell'odio che ormai sono ovunque. Di questa televisione vuota con trasmissioni fatte da decerebrati per decerebrati. Di queste mode assurde che annullano sempre di più ogni individualità, facendoti credere che conti qualcosa solo se ti vesti come la massa e se sei pieno di soldi. Di queste guerre inutili, del terrorismo e di attentati ancora più inutili, morti, morti, morti che muoiono senza motivo. Di poveri disgraziati che fuggono dal loro paese per non crepare e arrivano qui su un gommone e vengono chiamati negri di merda e considerati peggio di bestie. Di gente che muore di fame e nessuno muove un dito, tanto sono dall'altra parte del mondo, tanto sono dall'altra parte della strada. Di ipocriti sorridenti che ti dicono che miglioreranno il tuo paese per te, da una parte e dall'altra, destra e sinistra ormai sono solo parole, e intanto quello che migliora sono le loro tasche. Vorrei parlare di tutto questo e di altro, altro ancora e ancora e ancora, e di come proprio non riesco a capire, di come mi sento estraneo a tutto ciò. Vorrei, ma non sono capace. E' impossibile, trasformare in parole i miei pensieri.

Vorrei parlare di me. Di quando sono circondato da amici e mi sento distante e di quando invece sto da solo e sto bene così. Di quando a volte spaccherei tutto a pugni per la rabbia e di quando basta una scena commovente in un film o in un libro per farmi venire le lacrime agli occhi. Di quando vorrei gridare e cambiare tutto e di quando mi sento impotente e mi nascondo tra la massa. Di quando mi sento l'essere più inutile della terra e di quando niente mi sembra impossibile e niente mi può fermare. Di quando mi sento vuoto, freddo, superficiale e di quando passerei ore a guardare il cielo di notte. Vorrei parlare di me, ma non ne sono capace.

scritto nel 2004

martedì 11 febbraio 2014

[undicesimo]

Poniamo che dio esista. Facciamo finta, diciamo che esiste.
Ecco. Facendo finta, avrei una cosetta da chiederle, signor Signore. Le posso dare del tu?
Ovviamente non è questo che volevo chiederti, è un'altra cosa. Una cosa seria. Perché sembro un cretino, tu lo sai meglio di me, sempre con la testa tra le nuvole a pensare ai cazzi miei, ma ogni tanto ci penso anch'io, alle cose serie. Vedi, Dio, io stavo pensando ai comandamenti.
Sì, a quelle postille piccole piccole che bisogna leggere prima di firmare il modulo d'iscrizione. Niente da dire, per l'amor di Di... Ops, scusa. E' corretto che ogni club abbia le sue regole, giuste o sbagliate che siano.
Che poi, davvero, a pensarci bene non è che mi sembrino poi così stupide.
A parte forse Non desiderare la donna d'altri. Tolto che non trovo giusto che le donne possano desiderare l'uomo d'altri, l'importante è che gli altri non desiderino la donna mia, o tua se ne hai una, ci mancherebbe. Al massimo che la desiderino e basta, guardare e non toccare.
Magari anche Ricordati di santificare le feste. Cioè, se proprio ci tieni, io me lo segno in agenda e siamo a posto, però tu poi ricordati del mio, di compleanno. Non è che voglio il regalo, ma almeno un biglietto d'auguri, una telefonata, che ti costa.
E pure Odora il padre e la madre, se vuoi io lo faccio, se proprio devo, magari dopo che si sono lavati.
Giusto così, io avrei aggiunto Alza l'asse prima di fare i tuoi bisogni. Tanto per dire, sono appena andato in bagno a fare quella cosa che si fa da seduti e ho girato tre cessi prima di trovarne uno che facesse al caso mio. Ma sai cosa intendo, da lassù mi hai visto di sicuro. Undicesimo: Alza l'asse e prendi la mira. Magari ricordatene, se hai in mente un aggiornamento più avanti.
Tornando alle cose serie, la prima cosa con cui te ne vieni fuori qual è?
Io sono il signore Dio tuo, mi t'immagino, tutto serio e arcigno, con quel vocione tuonante, tipo Babbo Natale ma più incazzato.
Non avrai altro Dio all'infuori di me, oh, mi fai quasi paura.
Però pensandoci - perché io a queste cose ci penso - cosa vuol dire? Secondo me vuol dire che non sei l'unico. Oltretutto, correggimi se sbaglio, nella Director's cut o nella Extend edition, in una delle tante versioni della Bibbia insomma, sei tu che dici: non avrai altri dèi di fronte a me.
Ti sei tradito, avanti, confessa: dove sono gli altri dei? Dietro di te? Di sopra, di sotto, a destra, a sinistra?
In fondo, se tu fossi l'unico dio disponibile sulla piazza che bisogno ci sarebbe di una precisazione del genere? Tipo, non che mia mamma m'abbia mai detto: Non avrai altra madre all'infuori di me! Quante altre madri potrei avere?
O il mio pisello: Non avrai altro pene al'infuori di me! Ma dai. Non avrai altri peni di fronte a me! Ma ti pare. E nemmeno di dietro! Soprattutto di dietro. [Tanto per la cronaca: sì, io parlo con il mio pisello. Sono così scemo da star qui a chiacchierare con dio, non posso farlo anche con il mio pisello?]
Quindi non sei l'unico e solo. E se non sei l'unico e solo, c'è concorrenza. E se c'è concorrenza, il prezzo scende. E se il prezzo scende, sai: le regole di mercato, domanda offerta quelle cose lì, io dico che forse è meglio se la pianti di giocherellare con la barba, beato sulla tua nuvola, e tiri fuori qualcosa di meglio di quella noia infinita del paradiso, furbacchione.
Altrimenti, la prima cosa che faccio è sgozzare un capretto in onore del potente Zeus. Vuoi vedere che lui una bella saetta nel culo gliela tira, a chi piscia fuori dalla tazza.

scritto nel 2006
rivisto e corretto nel 2013

lunedì 13 gennaio 2014

[il giorno giusto]

Lei è una puttana. Una puttana vera, che scopa per vivere.
Lui è un tossico. Che non vive, si fa e basta, per dimenticare qualcosa che ormai non ricorda più.
Abitano nello stesso palazzo, ma non si sono mai visti. Quando rincasa lui è sempre troppo fatto per accorgersi di qualsiasi cosa. Lei è sempre troppo triste, troppo rotta. Dopo che ha preso venti cazzi in una sera non riesce a far altro che guardare per terra.

Si sono conosciuti ieri sera. Si sono incontrati davanti al portone e per la prima volta si sono guardati e si sono visti.
Lui le ha ricordato suo fratello. Il volto magro, lo sguardo disperato che chiedeva aiuto, comprensione, perdono, il giorno prima di andarsene per sempre.
Lei non gli ha ricordato nessuno, ma chissà com'è si è messo a pensare a sua madre. Negli occhi, il vuoto di una vita di rinunce, di botte e di alcool, nessun sogno, nessuna speranza.
Forse è successo ieri sera perché era una sera speciale per entrambi, una di quelle che non si scorderanno mai. Se uno dei due credesse nel destino, potrebbe sembrare un suo scherzo.
Lui aveva appena scoperto di avere il male. Quel male che non si può curare. Che ti gira nelle vene insieme all'eroina finché un giorno non decide di svegliarsi e prenderti quel poco di vita che ti è rimasta.
Lei era incinta. Non poteva saperlo ma se lo sentiva, ne era certa, l'unica cosa che ignorava era il padre. Forse un ragazzino ubriaco, forse un vecchio in Mercedes.
Così, quella sera così speciale, persi nei loro pensieri, in cerca di un appiglio qualunque, si sono visti. Si sono guardati, senza dire una parola. Hanno letto uno gli occhi dell'altra e si sono capiti. Una di quelle cose che succedono solo nei film, ma senza sorrisi e senza colonna sonora.
Sono saliti insieme nel monolocale di lei, in silenzio, non avevano niente da dirsi. Si sono baciati. Sono andati a letto, hanno fatto l'amore o hanno scopato, nemmeno loro lo sanno.
Poi, lei era in bagno, davanti allo specchio, e piangeva. Lui si è acceso una sigaretta, a letto, fissava il soffitto.
Poi, si sono abbracciati e così sono rimasti, addormentati.

Oggi, è l'alba, lei si sveglia. Lo guarda dormire, sembra sereno. Sorride, per la prima volta da anni. Sa che non si rivedranno. Come si sono trovati così si perderanno di nuovo. Lei a vendere amore. Lui a comprare morte. Ma sorride.
Si alza e si affaccia alla finestra e guarda fuori. Sopra la città grigia, il sole non si vede ma c'è, deve esserci. Le illumina il viso, cancella per un attimo anni di umiliazioni, di sofferenze, di schifo. Lei guarda il cielo e pensa: Oggi sarebbe il giorno giusto per ricominciare.
Chiude la finestra. Si avvicina alla cucina, esita un istante e apre il gas. Torna a letto. Si corica di fianco a lui, che sta ancora dormendo. Lo guarda un'altra volta, lo accarezza sulla guancia, piano. Appoggia la testa sul suo petto, aspettando di addormentarsi, magari sognare, e basta.


scritto nel 2004
rivisto e corretto nel 2014

mercoledì 8 gennaio 2014

[nel nome del padre]

Mi perdoni, padre, perché ho peccato. E' da molto tempo che non mi confesso, sa? Più o meno da sempre, perché l'ultima volta avrò avuto tredici anni, e a tredici anni che cosa vuole che avessi mai fatto? Ma adesso ne ho di cose da raccontarle.
Ho nominato il nome di dio invano. Con la D maiuscola dice? Io l'ho sempre nominato con la minuscola, giuro, così in generale, non ce l'avevo con un dio in particolare. Non è colpa mia se il vostro dio lo chiamate Dio, si crea confusione. Io il mio gatto mica lo chiamo Gatto. Sì, mi scusi, era per fare un esempio, non ce l'ho nemmeno un gatto. Comunque, adesso ho smesso, però in passato l'ho nominato spesso, molto spesso, forse troppo spesso. Ma via, una bestemmia ogni tanto può scappare, dai, mica volevo offendere nessuno.
Sì padre, ora che ci penso, ho nominato invano anche la madonna. Se le dico che mi riferivo alla cantante mi crede? Ci metto la maiuscola e tolgo l'articolo. No, eh? Va bene, ha ragione, ho esagerato. Ma sia sincero, neanche lei ci crede alla storia dell'immacolata concezione. Erano altri tempi, ok, ma mi vuol dare a bere che il povero Giuseppe è andato avanti una vita facendo da solo? Va beh che era un falegname. Come dice? L'immacolata concezione non è questo? E' Madonna che è nata senza peccato originale. Ah. Io invece mi credevo, sa like a virgin...
Sì, mi scusi, sto divagando. Non ho santificato le feste. Da un pezzo. L'ultima volta che sono stato in chiesa è stato per un funerale. La volta prima? Mi ci faccia pensare. Per natale mi pare, anni fa, ma solo perchè mi aveva obbligato la mia ragazza. O vieni a messa o non si fa niente. Ecco. Ma d'altronde, proprio lei m'insegna che la carne è debole, giusto?
Poi. Vediamo. Credo di aver disonorato il padre e la madre. Mia madre la sentirò una volta al mese o poco più. Mi padre manco lo sento. Quello che dice mi entra da un orecchio e mi esce dall'altro. A modo mio, però gli voglio bene, a tutti e due. In fondo, mi han sempre messo al mondo loro, no? E faccio finta di non sapere chi siano il signor Ogino e il signor Knauss. Ma sì, ma sì, anche a quello scassapalle di mio fratello. Però a volte avrei proprio voglia di spaccargli la testa.
Ho rubato? No, rubato no. No, giuro. Va bene, lo ammetto, non lo faccio solo per paura delle conseguenze. Mica perché penso che sia sbagliato. Cioè, dipende cosa si ruba e a chi. Per dire, una rapina in banca. Se fossi sicuro di passarla liscia la farei, sì.
Ammazzato neanche, pensi un po'. Anche se ogni tanto... se avessi avuto una pistola forse adesso non sarei qui a parlare con lei.
Come? No padre, non sono sposato. E' un problema? Beh sì, ho fatto sesso, mi è capitato. Ah, sono atti impuri... e allora che dovrei fare? Andare avanti a seghe fino al matrimonio? Ah, anche la masturbazione è un atto impuro... Non lo sapevo. Ma lei, ad esempio, come fa? Niente? Niente di niente? Cazzo, rischia di scoppiare. Non le fanno male? Oh, ha ragione, mi scusi, mi scusi, sono desolato, andiamo avanti.
Dov'eravamo rimasti? Mi faccia pensare. Ho commesso atti impuri. Ho detto falsa testimonianza, spesso, ma mai con cattiveria, davvero, a volte è più semplice mentire che affrontare la realtà. Ti eviti molti rompimenti di palle, provi anche lei ogni tanto.
Ho desiderato la roba d'altri. Perché cazzo dovrei accontentarmi di quello che ho? Non siamo ipocriti, la bella vita piace a tutti.
Sì, a volte anche la donna d'altri. Almeno credo. Non è che ogni culo che guardo sto a chiedermi se ha il ragazzo o no.
Ho detto parolacce, ho bevuto, ho fumato, ho insultato, ho offeso, ho odiato. Sono stato cattivo, padre. Molto cattivo. Ma non è colpa mia padre, è questo mondo. E' la vita. Che ti rende cinico, egoista, menefreghista, bastardo. Poi sgancio un euro al primo marocchino che passa, tanto per mettermi a posto la coscienza. Ma sono sincero, degli altri non me ne fotte un cazzo. Cioè, un pochino sì, a volte, ma sempre e comunque dopo di me, prima ci sono io, i miei bisogni, i miei desideri, poi il resto del mondo. E' così sbagliato?
Senta padre, che devo fare adesso? Come posso staccare il biglietto per il paradiso, per la felicità eterna?
Dieci ave maria? Soltanto? Se lo sapevo prima mi drogavo qualche volta in più.

Padre, mi scusi, sono ancora io. Il problema è che l'ave maria proprio non la so, come la mettiamo?
No, nemmeno il padre nostro. Cioè, lo sapevo ma non è che me lo ricordo troppo bene, qualche pezzo, ma tutto tutto no.
Un'offerta alla sua chiesa? Beh, ecco, non è che a soldi son proprio messo bene ultimamente. E poi non è che i miei soldi se li spende lei, non voglio immaginare come.
Eh no, a messa domenica proprio non riesco a venire, la domenica mattina dormo e il pomeriggio c'è il campionato. La sera siete aperti?
Senta, padre, facciamo così, stasera passi dal bar che le offro da bere. Così racconta lei a me i cazzi suoi, per una volta. E magari mi spiega perché si fa chiamare padre se non ha mai... Vado, vado.

scritto nel 2004
rivisto e corretto nel 2013

venerdì 3 gennaio 2014

[last night a deejay saved my life]

Ieri sera finisce che arrivo in anticipo ma sono quasi in ritardo, come piace a me. Odio arrivare per ultimo, non per educazione: è che se arrivi e sono tutti lì ad aspettare te, per forza diventi il centro dell'attenzione, devi essere all'altezza dell'aspettativa che hai creato. Ma ancora di più odio arrivare per primo e aspettare non sai mai per quanto, magari all'infinito. L'attesa è una delle sensazioni peggiori, insieme al non sapere.
C'è poco da fare: sono bellissimo, ieri sera. E non sono io a dirlo, io lo penso e basta, perché è un giorno dispari. Nei giorni dispari penso sempre di essere bellissimo, in quelli pari meno, molto meno, talmente meno che è meglio se non penso a un cazzo, nei giorni pari. Ma ieri sera chi lo dice non mente e se mente m'importa poco perché io non lo so che sta mentendo. A volte il non sapere non è poi così male.
Devo prendere le sigarette, io senza sigarette non posso stare, ho appena fumato l'ultima, fino al filtro, accartocciando il pacchetto. Tra nugoli di zanzare che sembra Pearl Harbor e quei maledetti cinque euro che proprio non ne vogliono sapere di piacere al dannato distributore automatico, è una battaglia. Una battaglia persa, che vince qualcun altro per me, qualcun altro meno isterico di me, che sta più simpatico di me al dannato distributore, a quei maledetti cinque euro e alle zanzare che fanno a gara a chi mi succhia di più. Mi viene l'ansia. Nei giorni dispari sarò anche bellissimo, ma sto sul cazzo a tutti. Sia nei giorni dispari che in quelli pari.
Cammino e mi lamento, mi lamento in continuazione. A me piace lamentarmi, fa parte di me, buttare sugli altri il peso di tutti i miei problemi. In fondo, è anche una forma di altruismo. Se gli altri sono soffocati dai miei, non pensano ai loro, di problemi.
Mi lamento che non ricordo le cose, mi dimentico le cose, mi dicono cose e un attimo dopo spariscono, sguardo assente verso l'alto, una sola cosa in testa al posto di tutte quelle altre cose: cazzo ha detto?, non connetto, a volte, sempre più spesso, devio, perdo la strada delle parole, parole dette, parole lette, parole scritte.
La sera, ieri sera, continua. Ma il resto, non me lo ricordo. O forse me lo ricordo e me lo tengo per me.

scritto nel 2005
rivisto e corretto nel 2013